domenica 4 settembre 2011

Invaders must die

E' prevedibile, è inevitabile ma è sempre faticoso.
Il primo giorno di depressione post-partenza è pesante.
Non tanto perchè non si è abituati a certi periodi di tristezza, ma perchè tutto sembra ingigantito, moltiplicato.

Che qualcosa non andasse per il verso giusto l'ho capito questa mattina, accorgendomi di essermi svegliata più volte nel corso della notte e sempre con un furioso mal di gola (il vento non lascia spazio a errori, se dimentichi la sciarpa sei fregato).
Ho fatto una passeggiata rigeneratrice, o almeno speravo fosse tale, attraverso le principali zone della città: sono scesa verso Gedimino P., ho attraversato la piazza della cattedrale, ho risalito Pilies gatve e infine ho percorso le ormai note strade fino al Gile.
Il tempo era splendido, il cielo azzurro e le nuovole bianche, non nere di pioggia come quelle dei giorni scorsi. Stile cielo-di-Springfield-dei-Simpson.
La città brulicava di persone intente a far baldoria, a omaggiare la città nei giorni della sua festa.
Nei primi giorni di settembre infatti si tiene la festa della Capitale: Vilnius si anima di banchetti, stand gastronomici e dell'artigianato lituano, turisti, stage per concerti che inziano nel pomeriggio e durano fino a notte...

E nonostante tutta questa perfezione, che sarà arduo ritrovare nelle domeniche di inverno, ero profondamente malinconica.
Camminavo sentendomi distante anni luce dalla gente che incrociavo, le mie sensazioni interne sembravano ovattate. Uno strano modo di sentirsi, davvero.
Se all'inizio era divertente essere sempre guardate, oggi non lo era per niente.

"Cosa vogliono? Non hanno mai visto niente di diverso dalle loro cavallone bionde e dai loro ipertrofici giocatori di basket? Mi vesto male? Ho una faccia buffa?
Per favore, mi dite che cazzo avete da guardare sempre???"

Per fortuna che avevo portato con me l'mp3, ho potuto ascoltare la mia musica (e ovviamente ho fatto il pieno di Him, che era da un bel po' che non ascoltavo) e sentirmi, almeno in parte, a casa.
Ho l'impressione che quando si vive all'estero basti poco per provare conforto: ascoltare la musica che piace, scambiare qualche parola nella propria lingua, vedere una foto degli amici che ci aspettano a casa.

Non sono affatto homesick, qui sto benissimo. Ma la sensazione di inadeguatezza, che avverto a volte anche in Italia, è scomoda e fastidiosa.
Non voglio tornare a casa, sono felice di essere qui e sono sempre curiosa di scoprire cosa il domani può riservarmi. Adoro la compagnia lituana e quella degli Erasmus, adoro fare festa e bere alus a più non posso.
Anyway c'è ancora qualcosa che devo migliorare, devo trovare un modo di sentirmi a mio agio nei panni di "immigrata".

2 commenti:

  1. Curioso come le sensazioni nei momenti successivi alla partenza per quanto riguarda esperienze di questo tipo siano le medesime (per tutti?). Una specie di "Ma io cosa ci faccio esattamente qui, cos'è che volevo?". Questo porta inesorabilmente una malinconia che tento di curare ma amplifico solamente facendo giri a cazzo da solo per il luogo in cui sono appena approdato. Almeno questo è quello che capita a me.

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  2. Fa un po' strano rispondere a un "anonimo", perciò: come ti chiami? E, al momento, in quale parte del mondo sei?

    Per quanto mi riguarda non è esattamente un "io cosa ci faccio qui?" ma un "in cosa sono diversa da loro?". Le ragioni per le quali sono qui sono ancora vivide nella mia memoria, e al momento non ho paura di perderle.
    Ciò che mi manca, e che spero di acquisire nel tempo, è la cognizione di come loro vedono me. Una semplice straniera? Un'opportunità per far conoscere la Lituania all'estero? Una persona da conoscere per imparare qualcosa sull'Italia o semplicemente per divertirsi?
    Quanto ho potuto constatare finora è che c'è un discreto gap comportamentale tra generi e tra generazioni. Ma di questo parlerò più approfonditamente in un prossimo post...

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