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domenica 18 dicembre 2011

Caro Natale

Caro Natale,

sono perfettamente consapevole che ci sono circa 2000 anni di tradizione da rispettare. E so più che bene che le tradizioni sono importanti.
Lascia perdere che sei pure una festa religiosa e io sono un'atea convinta. A questo si può ovviare con i regali, come fanno d'altronde tutti, credenti, miscredenti e cretini.
Però c'è una cosa caro Natale che mi devi spiegare. Se sei il periodo dell'anno in cui i desideri si avverano, i sogni diventano realtà e la nonna ti dà tanti soldi, caro Natale, spiegami perchè io non posso rimanere a Vilnius.
Non me ne sbatte nulla del pranzo in famiglia, ho una sorta di famiglia anche qua.
E' ragionevole rispondere che tutti se ne tornano a casa per le feste ma preferirei una Vilnius deserta a una San Lazzaro col cuore che mi piange.
Mi sparerei una camminata in Pilies, mi berrei un karsta vinas in un locale qualsiasi e passerei intime serate con i pochissimi fortunati che saranno qui.
Ti prego Natale, Santa Claus o chi per voi, avverate il mio desiderio: sparite dalla testa della gente. La state rincretinendo convincendola che siete importanti. Non lo siete voi, i regali lo sono. E' questo che muove tutto, sapete?
Perciò la mia proposta è la seguente: il 21 di ogni inizio stagione ci si fa un regalo. Quantomeno la gente la smetterà di ricevere sempre e solo sciarpe e guanti.
A te Natale ti aboliamo.

Cordialmente,

Valentina

mercoledì 30 novembre 2011

Malinconia 0.2

Il periodo malinconico iniziato qualche giorno fa non è ancora terminato.
Il fastidio che mi provoca è immane. Ed è per di più associato ad una seria difficoltà a riprendere un ritmo sonno-veglia normale.
Perciò ora sono quasi le sei del mattino. Una settimana fa avrei detto che era figo essere svegli a quest’ora (presupponendo una serata carica fuori con gli amici), ora mi sento come mia nonna che senza pastiglia non dorme.

Cosa mi manca

Luoghi.
Piazza Maggiore, la mia cucina, il mio letto, il mio divano, via Zamboni, la biblioteca al 36, via Indipendenza, le due 600 più fiche della storia e i loro proprietari, l’autostrada Borgo-Rioveggio, i binari all’est, piazza Santo Stefano, piazza San Francesco, il 19, la Montagnola, H&M, via Castiglione, la mia Fiestina, l’Iper per fare la spesa con la mamma e riempire il carrello di cagate, l’Appennino, i portici, gli appuntamenti sotto le chiappe del Nettuno.

Persone.
Le persone non sono il motivo per il quale vorrei tornare. Ma alcuni amici mi mancano: il Ta, la Boo, il Godo, la Muder, la Michi, i’ babbbo, la Sissi, Ivan e Lawrence eccetera eccetera.

Cose da fare.
Ecco, principalmente voglio tornare a casa per FARE.
Voglio studiare e passare gli esami (e perderei la sessione di gennaio se stessi qui).
Voglio scoprire il lato culturale di Bologna andando a teatro, alle mostre, visitare le gallerie e i musei.
Voglio cercare un lavoro. Voglio mangiare un gelato da Gianni.
Voglio cercare un’agenzia che mi faccia fare da stagista.
Voglio raccogliere informazioni. Voglio andare al Kaiten.
Voglio fare un corso per conoscere gente nuova.
Voglio fare shopping di libri da MelOutlet.
Voglio andare al Kinder, al kaiten, al Millennium, alla Grada…
Voglio cucinare per i miei amici.
Voglio dimostrare ai miei che non sono quella di prima. Anche se non è vero.
Voglio prendere un the alla Linea e fare un aperitivo con gli amici.
Voglio andare all’Ikea. Voglio fare un giro in bici nonostante sia inverno.
Voglio fare una sorpresa alla Muder.
Voglio accendere un camino a Castioni, fare le chiacchiere e provare a cucinare i cepelinai.
Voglio vedere le mie nonne.
Voglio beccare la Sara e ricordare com’era bello vivere a Vilnius…

Perché?

Non so dire se è una fortuna, se è ingenuità o solo fretta ma ho la sensazione di aver fatto tutto ciò che dovevo fare qui e di aver appreso ciò che dovevo apprendere. Mi sono messa alla prova, ho superato gli ostacoli, ho imparato qualcosa in più su di me, ho capito come voglio vivere. Ora voglio vedere se sono in grado di essere la stessa anche a Bologna.
Ho trovato il mio spazio a Vilnius con successo.
Sarei in grado di ottenerne uno anche giocando in casa?

Le prove che ho superato qui hanno attestato che si, sono in grado di vivere all’estero. Quantomeno per qualche mese.
Ma non è troppo facile accontentarsi di saper vivere in un ambiente vergine, che altro non vuole che di sedurre per poi non essere abbandonato?
Questa bella Vilnius, che tanto mi affascinava ora mi sembra sempre uguale.
Come nei rapporti di coppia, si sta insieme se c’è amore.
Io avevo per Vilnius solo una cotta passeggera.
Io amo Bologna. Io voglio Bologna.
E così come me ne ero andata con le palle piene e la voglia di viaggiare, ora vorrei tornare a riconquistare la mia città.
La colpa non è tua, mia cara Dotta, ma è mia che non mi sono mai sforzata di conoscerti a fondo. Sei una città preziosa e nascondi un tesoro tra le tue mura.

Pigrizia, procrastinazione, tedio.
Un giorno tornerà tutto ciò anche a Bologna, magari verso marzo.
Lo so che, seduta sul mio letto e guardando fuori dalla finestra, un giorno maledirò la scelta di tornare a casa prematuramente.

Devo o non devo anticipare il mio ritorno a inizio gennaio invece che alla fine?

(si lo so, tutta questa pantomima per una ventina di giorni di differenza…ma io sto male al pensiero di stare qui a gennaio!)

lunedì 28 novembre 2011

Bizzarrie comportamentali

Succede che ho finalmente ammesso a me stessa il difetto che mia madre mi riconosce da sempre, cioè da quando ho 14 anni: mi stanco troppo in fretta.
Per carità, ancora non sono stufa di Vilnius è solo...si, è solo che mentalmente sono proiettata nel nuovo anno. E l'idea che il nuovo anno non coincida con il ritorno a casa mi fa venire i brividi come quando noto un peccato di asimmetria in un oggetto.
Horror et fastidium!
Però ormai il dado è tratto, ho prenotato già il volo di ritorno in terra lituana in tempo per il capodanno e poi ho gli esami da dare...ecco: non tornerò in Italia troppo dopo la metà di gennaio. Ho le mie cose da sbrigare, mi sono presa il mio tempo per ragionare e riflettere, ora è tempo di agire.
Spero che i restanti due mesi qui mi facciano ponderare ancora meglio le mie scelte.
Più passa il tempo più mi rendo conto che si, sto studiando e mi metto in gioco ma ormai il periodo di adattamento è terminato e io sono qui a fare la mantenuta, a bere birra e a non concludere poi un granchè. Per di più sento la lontananza da casa non tanto per un fattore di nostalgia ma proprio perchè ho voglia di fare qualcosa. Qui bevo e cazzeggio...e basta! E mi sento in colpa, dovrei sfruttare meglio il mio tempo.

Tanto per cambiare, come da una settimana a questa parte, sono le otto del mattino e io devo ancora andare a letto. Peccato che ho lezione all'una.
Temo che oggi sarà una lunghissima giornata...

martedì 1 novembre 2011

Fuck off con dolcezza e tanto affetto

OK, questo non è il luogo per un certo tipo di sfoghi, questo non è il luogo nemmeno per un certo tipo di confessioni ma, ed è ciò che mi preme di più, questo è il luogo per scrivere quel che mi pare. E così farò.

Il punto, sinteticamente, è questo: quando ti lasci alle spalle il tuo mondo ti trovi per forza di cose a costruirtene uno nuovo. Occorre lavorare su una nuova rete di relazioni, occorre elaborare un nuovo stile di vita, occorre ideare un modo non autodistruttivo di condurre la propria vita.
Ora, tutto questo può essere fatto in molteplici modi.
Ho visto gente qui perdere il controllo di sè, e dire che non è mica il Vietnam.
Diciamo che occorre avere buon senso, che è esattamente ciò che serve in qualsiasi occasione in cui si progetta di creare qualcosa dal nulla.
Non è per mitizzare il concetto di erasmus, non è certo questo il punto, ma bisogna essere sinceri nel dire che, per qualsiasi ragione si sia all'estero, ci si trova obbligati a partire da zero.
Perciò, cacciavite e martello, mi preparo a smantellare la mia creatura.
Voglio capire come ho vissuto questi due mesi e voglio capire perchè cazzo in questo momento sto perdendo...sto perdendo qualcosa, non so cosa, ma ora è diverso da prima, quindi qualcosa devo averlo perso di sicuro.

Settembre: il mese delle sfide che sembrano insormontabili ma che si rivelano delle sciocchezze tanto era l'entusiasmo con cui affrontavo la vita.
L'aspetto sociale è quello che mi preme maggiormente: iniziavo a conoscere gente e, con molta calma, a scegliermi inconsapevolmente la mia "compagnia".
Il fatto base, che ho sempre adorato, è che nonstante la cerchia di amici più vicini, non contavano loro, contavo io. Cosa voglio fare io? Voglio stare con loro o cambiare gruppo? Voglio passare la serata così o ho altri piani?
IO, IO, IO.
E non ho mai provato tanta libertà in vita.
Primo, potevo fare ciò che desideravo.
Secondo, potevo fare tutto consapevole che nessuno se la sarebbe legata al dito.
Terzo, potevo fare tutto senza sentirmi in colpa per l'abbandonare qualcuno ad un diverso destino.

Ottobre: il cerchio di amicizie si fortifica, il mese passa in un baleno e molte cose cambiano. Chiaramente ho la stessa libertà di prima, nessuno che mi ferma dal fare ciò che voglio, nessuno che se la lega al dito per niente, nessuno a cui frega qualcosa di ciò che faccio.
Ottobre è finito e l'amara conclusione è la seguente.
Non importa quanta libertà gli altri possano darmi, sarò sempre in grado di costruirmi da sola le mie catene.
The end. That's it. Ovvero: sono una pirla.
Possibile che riesca a pormi dei limiti da sola? Possibile che sia io stessa la fautrice di tutti i miei casini emotivi?
Ora, anche in questo caso ho elaborato la mia personale spiegazione di ciò che mi sta succendendo.

Siamo persone, abbiamo sentimenti, abbiamo voglie e abbiamo obiettivi.
Siamo persone, abbiamo paure, abbiamo regole e abbiamo ostacoli.
Sentimenti, voglie, obiettivi, paure, regole e ostacoli devono trovare la giusta combinazione dato che dobbiamo vivere in armonia.
Quello che è successo a me nell'ultima settimana è uno scombussolamento di questa armonia. Credo che "sentimento" e "paure" siano impennati, col conseguente decremento dei livelli di "obiettivi" e "regole".
Ok, la smetto di tormentarmi il cervello, torno sulla terra e adotto un linguaggio pagano: mi sono presa una cotta.

Qual adolescenziale sentimento! Qual ridicolo esodo di consapevolezza!
Sono tornata a quasi 10 anni fa, il primo batticuore, le prime insicurezze. Sentirsi costantemente in una tensione quasi estatica, a volte febbricitante di felicità, a volte teneramente deprimente.
Perdere di sovente il filo dei propri pensieri razionali per abbandonarsi a fantasie che neanche Kiss Me Licia.
Come mi sento?
Patetica, felice di essere patetica e pateticamente consapevole di essere patetica ma testardamente convinta che essere patetica sia solo un'etichetta affibbiata da qualcuno che, secondo la mia modesta opinione, ha una folle paura dei sentimenti.

In conclusione.
Non so cosa pensare, a volte sto malissimo, il mio stomaco si beccherà qualcosa di brutto se non la smette di contrarsi continuamente, faccio viaggi mentali interminabili, mi pongo le domande più ridicole (volete ridere? Ecco un esempio di domanda ridicola: "Quando ci salutiamo, mi abbraccia a lungo come con gli altri?"), ascolto musica da bimbeminkia (questa direi è decisamente la cosa peggiore), mi rovino le serate perdendo tempo a fissare una porta dalla quale spero possa entrare, mi detesto e mi adoro per come perdo il controllo della mia caratteristica e pseudoinossidabile razionalità.
La lista potrebbe continuare a lungo, potrei aggiungere ad esempio che sento il bisogno incontrastabile di una amica con la quale confidarmi, e ne avrei una, ma sento come se tra noi ci fosse un oceano di distanza, perciò devo tenermi tutto sto bordello di cose dentro (e scrivere su un blog pubblico è un bel modo per tenersi le cose dentro,no?!)

Ovunque tutto questo porti, sono felice di aver scoperto di poter tornare adolescente con così tanta sofferenza.

martedì 20 settembre 2011

Blue mood

Quello che adoro di me in queste situazioni, in mezzo a tanta gente, mille stimoli ecc ecc ecc è che mi adatto bene ai nuovi ritmi e riesco a farmi rapidamente una rete di amici.

Quello che odio di me in queste situazioni, è che non riesco a godermele appieno perchè timorosa della FINE.
Cazzo, sono 21 giorni che mi trovo qui e già penso a quanto soffrirò al momento del ritorno a casa.
Ho una fifa blu di affezionarmi alle persone per paura di soffrire nel dire loro "addio" tra 4 mesi.
Ogni tanto la notte perdo il sonno (o il senno?) rimuginando su quanto sarà faticoso salire sull'aereo di sola andata per Bergamo.
Detesto questo mio modo di guastarmi la vita, di farmi sopraffare dalle ruminazioni, di impedirmi di approfondire amicizie solo per la consapevolezza che hanno la data di scadenza ben impressa addosso.

La questione non è tanto scoprire la causa di questo mal de vivre temporaneo quanto invece trovare un dannato modo di smetterla.
Perciò la mia prossima tattica sarà aprire il mio orizzonte mentale ad una nuova idea di futuro, che non preveda date e deadline (l'inglese a volte è perfetto nel far suonare lugubri anche parole normali come "scadenza").
Una nuova idea di futuro, dicevo, non come un percorso da stabilire ma come un progetto in divenire.
Ciò, credo, mi aiuterà nel considerare la fine dell'Erasmus non come una ghigliottinata alla mia vita emotiva ma come un altro turning point esistenziale, così come lo è stato l'inizio di questa esperienza stessa.
Mi suona logico. O no?

Perciò, per trarre una conclusione, i next steps saranno:
1) non frenare alcun rapporto di amicizia
2) rilassarsi mentalmente
3) sorridere di più e mangiare di meno (che sto ingrassando).

Amen, sperando di andare in pace.

domenica 4 settembre 2011

Invaders must die

E' prevedibile, è inevitabile ma è sempre faticoso.
Il primo giorno di depressione post-partenza è pesante.
Non tanto perchè non si è abituati a certi periodi di tristezza, ma perchè tutto sembra ingigantito, moltiplicato.

Che qualcosa non andasse per il verso giusto l'ho capito questa mattina, accorgendomi di essermi svegliata più volte nel corso della notte e sempre con un furioso mal di gola (il vento non lascia spazio a errori, se dimentichi la sciarpa sei fregato).
Ho fatto una passeggiata rigeneratrice, o almeno speravo fosse tale, attraverso le principali zone della città: sono scesa verso Gedimino P., ho attraversato la piazza della cattedrale, ho risalito Pilies gatve e infine ho percorso le ormai note strade fino al Gile.
Il tempo era splendido, il cielo azzurro e le nuovole bianche, non nere di pioggia come quelle dei giorni scorsi. Stile cielo-di-Springfield-dei-Simpson.
La città brulicava di persone intente a far baldoria, a omaggiare la città nei giorni della sua festa.
Nei primi giorni di settembre infatti si tiene la festa della Capitale: Vilnius si anima di banchetti, stand gastronomici e dell'artigianato lituano, turisti, stage per concerti che inziano nel pomeriggio e durano fino a notte...

E nonostante tutta questa perfezione, che sarà arduo ritrovare nelle domeniche di inverno, ero profondamente malinconica.
Camminavo sentendomi distante anni luce dalla gente che incrociavo, le mie sensazioni interne sembravano ovattate. Uno strano modo di sentirsi, davvero.
Se all'inizio era divertente essere sempre guardate, oggi non lo era per niente.

"Cosa vogliono? Non hanno mai visto niente di diverso dalle loro cavallone bionde e dai loro ipertrofici giocatori di basket? Mi vesto male? Ho una faccia buffa?
Per favore, mi dite che cazzo avete da guardare sempre???"

Per fortuna che avevo portato con me l'mp3, ho potuto ascoltare la mia musica (e ovviamente ho fatto il pieno di Him, che era da un bel po' che non ascoltavo) e sentirmi, almeno in parte, a casa.
Ho l'impressione che quando si vive all'estero basti poco per provare conforto: ascoltare la musica che piace, scambiare qualche parola nella propria lingua, vedere una foto degli amici che ci aspettano a casa.

Non sono affatto homesick, qui sto benissimo. Ma la sensazione di inadeguatezza, che avverto a volte anche in Italia, è scomoda e fastidiosa.
Non voglio tornare a casa, sono felice di essere qui e sono sempre curiosa di scoprire cosa il domani può riservarmi. Adoro la compagnia lituana e quella degli Erasmus, adoro fare festa e bere alus a più non posso.
Anyway c'è ancora qualcosa che devo migliorare, devo trovare un modo di sentirmi a mio agio nei panni di "immigrata".

giovedì 1 settembre 2011

Italioti

Italioti= Italiani + Idioti

Necessito di uno sfogo sui detestabili comportamenti degli italioti (non gli italiani, c'è differenza) all'estero.
Non voglio generalizzare. Riporto la mia esperienza attigendo a ricordi di viaggi a Parigi, Valencia, Brighton e Vilnius.

Primo: l'italiota all'estero non è tollerante né rispettoso degli usi e costumi altrui. Spesse volte non si dimostra nemmeno interessato a conoscerli.
Se ne frega altamente di prestare ascolto e di tacere per imparare.
Impone la propria saccenza con maleducazione, alza la voce sopra quella degli altri, fa il bullo appena ne ha l'occasione e a volte raggiunge infimi livelli di squallore.
Non rispetta l'ambiente che lo circonda, nè tantomeno la gente del luogo.
Non si preoccupa di disturbare con i propri comportamenti quelle che sono le regole della buona educazione del paese che lo ospita.
Non si preoccupa di lasciare un buon ricordo, "tanto io qui non ci torno più!".
L'unica cosa di cui si cura, a volte, è la legge locale (prendersi una multa o finire in galera non è mai buona cosa). Ma se è risaputo che tutti la infrangono perchè astenersi?

Secondo: l'italiota non sa spiccicare una dannata parola di inglese.
Anche io non sono granchè in quanto a conversazione ma quanto meno evito di correggere gli altri quando sbagliano. E invece quante volte mi è capitato di sentire italioti fare il punto sulla grammatica ad altri stranieri!
E poi è imbarazzante sentirli parlare inglese, è qualcosa che mi fa stringere lo stomaco. E' rivoltante.
Almeno vi fosse consapevolezza del misero livello di inglese che si ha!
Si sarebbe forse più cortesi quando l'interlocutore non afferra i nostri discorsi.

Terzo: l'italiota non si rende conto di essere italiota.
Forse ha troppo calcata in testa la massima "tutto il mondo è paese".
Considera i suoi gesti universali, i suoi ammiccamenti comprensibili, le sue gag immediate.
E si meraviglia se la comunicazione non avviene.
Pensa (e in questa categoria mi ci metto completamente anche io, ma ci sto lavorando su) che tutto ciò che si fa in Italia sia italiano. No!
Ad esempio: alcune melodie, come le ninnananne. Solo perchè te le cantava tua madre non significa che altrove nel mondo non vi sia un'altra madre come la tua che canta la stessa identica canzoncina!
Oppure i giochi: solo perchè li hai fatti tu con i tuoi amici non significa che siano giochi italiani!
Porca miseria, ciò mi fa imbestialire con me stessa perchè spesso mi è capitato di descrivere alcune mie abitudini come "italiane" per poi sentirmi rispondere, da uno straniero, "si anche io faccio così!".
Damn.

Non odio gli italiani, odio gli italioti.
Non odio l'Italia, odio gli italioti che la insozzano.
Non odio essere italiana, ma odio dover spiegare che nel mio Paese non tutti sono cafoni, puttanieri, mafiosi e berlusconiani e scusate le ripetizioni, forse "berlusconiani" bastava a rendere l'idea.

Fine dello sfogo.



sabato 23 luglio 2011

Perchè

Perchè quando si sta per partire per un lungo viaggio c'è come un'elettricità nell'aria.
Come un'energia, ma energia è banale.
Quando si sta per partire per un lungo viaggio c'è un'elettricità tale che i pensieri scorrono veloci, le idee nascono e fioriscono come autonome; come se fossero, prima di essere pensate.
La catena è stata: non ho un cazzo da fare, ascoltiamo della musica!, ma dai sto canticchiando i Clash, ergo Youtube e infine "Lost in the supermarket" della suddetta band.
E come fosse semplice da una canzone sono nati migliaia di pensieri, che si formavano, si inseguivano, bisticciavano come uno sciame impazzito di bestiacce volanti.
L'idea del mondo come un supermarket (quanta poesia, che finezza!), l'idea del mondo come un labirinto in cui si gioca sia da compratori che da merce, l'idea di un mondo antropomorfo in cui Natura e Vita ormai chi sa cosa sono. E se sono qualcosa dove sono...

Primo post: e già potrei dilettarmi nel descivere la piacevolezza dello scrivere per un nessuno, che in realtà è uno (cioè me medesima), che potrebbe essere due o tre.