lunedì 3 ottobre 2011

Il canto della foresta

Sono diventata una yes-girl.
Ciò significa che dico sempre sì alle proposte degli amici e non penso mai troppo prima di prendere un impegno…è sempre sì sì e sì!
Perciò è facile dedurre come io sia finita a passare il mio week end in una foresta a 40 km da Vilnius: è bastato che il mio amico E., abituato a questo genere di esperienze, lanciasse la proposta.
Non sono affatto abituata alla vita nei boschi, non so come si sopravvive senza elettricità e riscaldamento (ed eventualmente una macchina nella quale cercare riparo), non so le regole della Natura.
Tuttavia sono sopravvissuta.

Abbiamo raggiunto il posto nel pomeriggio di sabato, dopo aver fatto la spesa a Vilnius e preso un trenino: una radura affatto sperduta provvista (pure!) di giochi in legno per i bambini, casetta e cavallo nelle vicinanze.

Le attività del fine settimana sono state ludiche e bucoliche: montare le tende, passeggiare nel bosco, raccogliere funghi, intagliare il legno, fare della giocoleria con i flower sticks, accendere il fuoco e cucinare su di esso.
Cose semplici che però mi hanno dato tanto, e non è un modo di dire.

La riflessione principale che ho fatto a posteriori è stata che ogni azione, ogni attività si riempiva di significato senza che toccasse attribuirgliene uno.
Ogni cosa aveva il suo perché senza che occorresse ragionarci, o sragionarci, sopra.
Se mi fossi messa a intagliare del legno qui al Gile avrei avuto la sensazione di perdere il mio tempo in un’attività estremamente “weird”.
Invece i pensieri e le preoccupazioni non entrano nella foresta, non passa mai per la testa l’idea che si stia sprecando il proprio tempo e non se ne perde del prezioso nel pre-giudicare cosa si sta per fare.
Ovvio, sono stata una fake hippie che è “scappata” dalla città per soli due giorni.
Eppure ho sperimentato un’ampia gamma di sensazioni.

L’estrema felicità di sentirmi sufficiente per essere felice.
Ero felice perché ero felice, stop. Non perché ho raggiunto degli obiettivi, non perché ho dimostrato quanto valgo, non perché qualcuno mi ha fatto un complimento o una carineria.
Ero felice perché ero viva e sentivo di esserlo.
Non so spiegarmi meglio, me ne dispiace.

L’estrema angoscia. Ho sperimentato un forte senso di ansia.
La Natura, in una giornata di sole, rispecchia gli stati d’animo delle persone serene: l’erba brilla del suo verde magico, gli uccelli cantano nascosti tra i rami, il fiume scorre imperterrito, il fuoco scoppietta allegro.
Ma la notte, la Natura è tutt’altro. Buio e freddo circondano il falò, si è impotenti dinnanzi a tanta forza. Fare luce nel buio e fare caldo nel freddo è una guerra persa in partenza dall’uomo, quando è solo un uomo.
La legna era umida ed era difficile mantenere vispo il fuoco, la nebbia confondeva i contorni degli alberi e questi, scuri e ritti nella notte, erano minacciosi e tetri.
La mia personale lotta contro l’ansia, se così vogliamo chiamarla (era più un senso di impotenza misto a pensieri legati al pre-erasmus) è iniziata nel momento in cui mi sono allontanata dal falò e dal gruppo per espletare quel bisogno fisiologico volgarmente detto pipì.
Porca miseria mi è bastato camminare 30 metri per cambiare il mio punto di vista sulla situazione. Non eravamo più 5 allegri giovani coraggiosi che vanno nella foresta per divertirsi ma eravamo 5 finti-maturi troppo ottusi per accorgersi che la Natura è molto più forte di quanto si voglia chiedere.
Che ansia. Mi è occorso del tempo per riponderare la situazione, ricalibrare il mio sguardo sul mondo.

Non so se ciò che ho portato a casa da questa esperienza intensa durerà nel tempo, se mi ricorderò gli insegnamenti dei miei amici su come sopravvivere nel bosco, se ho davvero imparato qualcosa.
Ciò che al momento so è che mi sento di consigliare a tutti di sperimentare un piccolo periodo in mezzo alla natura, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che è artificiale e umano per immergersi nel mondo naturale e originale.
Lasciare a casa il Sé sprovveduto per tirare fuori quello istintivo e combattivo.
Sėkmės.

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